venerdì 29 agosto 2008

quando la spiccata sensibilità dell'uno si contrappone al gretto materialismo dell'altro

il guaio delle persone socievoli è che spesso vengono fraintese.
metti quella volta, ad esempio, quando venne la signora ermanna a portarmi i documenti dell'appartamento dove ero andato ad abitare.
la signora ermanna parlava un pochine di taliane, perché prima di lavorare per l'agenzia immobiliare si occupava di vendite per un salone automobilistico, e curava i rapporti con l'italia. purtroppo non è mai riuscita ad inserire in uno dei nostri discorsi le parole "coppa dell'olio" o "differenziale autobloccante" e, in fondo, credo che questo l'abbia un po' rammaricata, se non turbata.

ad ogni modo, la signora ermanna, sulla quarantina abbondante, tre figli grandi, un divorzio alle spalle e un paio di occhiali alla filini, quel giorno fece un paio d'ore di ritardo.
io e antongianni, il mio vicino e collega spagnolo, la aspettavamo insieme sul terrazzo, a prendere il sole, perché anche lui doveva firmare le sue carte, quindi prendemmo appuntamento insieme.

sbrigate le formalità, la signora ermanna (che parlava anche spagnolo, tra l'altro, ma che neanche in quest'altra occasione potè dire la cueppa de l'uelio o los differenzialos autobloccantos) si lasciò andare in una struggente confidenza, spiegandoci che aveva fatto tardi in ospedale, dove il figlio sedicenne, giocatore di rugby, era in chemio per un tumore a un polmone.

commossi, io e antongianni decidemmo di invitare a cena la signora e i figli, appena il "piccolo" si sarebbe ripreso.

qualche mese dopo, io e la signora ermanna ci rivedemmo in banca, per altre formalità, e la mia spiccata socialità mi spinse a chiederle come stava il figlio (bene, grazie, si è perfettamente ripreso, la chemio ha funzionato e stanno ricrescendo anche i capelli, anche se ancora non conosce il significato delle parole coppa dell'olio e differenziale autobloccante) e - ahimè - dirle che l'invito a cena era sempre valido.

ora non so perché non le abbia risposto niente, sarà stato il pensiero che la signora aveva tre figli, quello del figliolo miracolato, o forse della figlia diciottenne, sarà stato l'amore per la mia ragazza lontana, sarà stata la mia incapacità nel ferire l'amor proprio di una donna, sarà stato semplicemente lo stordimento dalla fiatella della signora ermanna, o forse saranno stati tutti questi fattori insieme, tant'è che al suo Ma io ho un uomo, adesso, sono una donna impegnata, sono rimasto senza parole.

giovedì 28 agosto 2008

la pubblicità è l'anima del commercio

lo so, lo so, è meglio avere pochi lettori che ti leggono tante volte piuttosto che molti che ti leggono poche.
lo so, non è la quantità ma è la qualità che conta.
so anche che cenere ero e cenere debbo ritornare.

ma magari, se questo blog non vi fa proprio schifo, potreste pure segnalarlo da questo tipo strano, magari dicendo che lo gradite, e che vorreste che il proprietario conquistasse il mondo.
no, eh?
vabè, io ve l'ho detto, poi fate un po' come vi pare.

è che oggi sono felice, il gabinetto ha ripreso a funzionare e il cielo ha assunto una colorazione grigio chiaro andante che farebbe quasi pensare al celeste smorto.

ps: prometto che questo è l'ultimo post markettaro, da domani riprendo con le mie siocchezze abituali

mercoledì 27 agosto 2008

marchette travestite da informazioni di servizio. e viceversa.

a seguito di una mia gentile e cortese richiesta, il sito bloghissimo.it ha inserito le mie siocchezze nel proprio databeis (che bella parola, databeis), e adesso i miei post si possono leggere sia di qua che di là.

se ci avete un blog pure voi, e puta caso volete iscrivervi, fatelo dalla pagina di segnalazioni.

a me mi ha risposto il dott. pres. ing. lup. mann. gran. figl. d. putt. megadirettore in persona, dicendo che il mio blog è talmente bello, ricco, interessante, divertente, simpatico e fuori dal comune, che si è rammaricato della mia richiesta: avrebbe preferito invitarmi egli stesso lui medesimo di persona.

non si preoccupi, direttore, la perdòno.

giusto per dovere di cronaca: sono stato inserito nella categoria pensieri, in attesa che aprano cazzate immani non diversamente categorizzabili, dove finalmente potrei primeggiare.

infine, per chi volesse soffrire con me, si sappia che dopo due litri di idraulico liquido gel, preghiere, imprecazioni, rituali esoterici e sacrifici umani, il cesso è ancora attappato, e questo mi impedisce di succhiare il midollo della vita con la dovuta serenità.

martedì 26 agosto 2008

segni inconfutabili ed incontrovertibili che la fine del mondo è vicina, e che le vacanze sono inesorabilmente finite

ci sono tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti, tanti modi per iniziare bene una giornata.

la tazza del cesso che si appila un problema idraulico alla sala da bagno non è tra questi.

lunedì 25 agosto 2008

tutto va male, contemporaneamente

naturalmente, la fila nella quale mi trovo è sempre la più lenta. ormai lo so, ci ho fatto l'abitudine, non me ne accorgo neanche. anzi, a volte quando vedo qualcuno che ha fretta, mi metto nella sua fila, proprio per fargli perdere un po' di tempo, ma così, giusto per simpatia.

poi ci sono quelle occasioni particolari, come ieri, quando il tipo della sicurezza dell'aeroporto si è tanto divertito a far passare le persone attraverso il metal detector, a perquisirle, a farle ripassare, più e più volte, giusto per la gioia di sentire quel piacevolissimo drin ogni volta.
e siccome eravamo a napoli, e qualcuno gli faceva notare che la nostra era la fila più lenta, lui si fermava e si metteva pure a pigliare questioni, rallentando ulteriormente le operazioni.

alla fine, però, tutto è andato per il meglio, han chiamato il mio volo mentre ero ancora in fila, ma non mi sono preoccupato; son salito sulla navetta con il secondo gruppo, quello dei quattro sfigati che erano in fila con me, e non mi sono preoccupato.

le undici meno dieci. l'aereo dovrebbe essere già partito, ma finché non salgono tutti i passeggeri... mica ci possono lasciare a terra. non c'è da preoccuparsi.

sull'avioplano l'aria condizionata è spenta, ma non mi sono preoccupato, saremmo partiti a momenti, se non fosse stato per quel buontempone del signo B. 
infatti il comandante, dopo mezz'ora di attesa, ci dice che il signor B non si trova, non risponde alle chiamate, in aeroporto manco i cani e che quindi, per motivi di sicurezza, se non salta fuori tra dieci minuti, bisogna individuare il suo bagaglio, rimuoverlo dalla stiva, e farlo brillare indipendentemente dal contenuto. noi, intanto, saremmo scesi e avremmo assistito allo spettacolo da una saletta interna con aria condizionata, perché quelli di alitalia sanno campare, mica come quei pezzenti di raianeir.
inizio a preoccuparmi.

le lancette scorrono inesorabili, ma - come nei migliori film d'azione - quando ormai le goccioline di sudore che imperlano la fronte dell'eroe restano sospese come a chiedersi E adesso cosa succederà, arriva il signor B, in tutto il suo splendore.
una folgorante canottierina blu, rassegnata a contenere una panza ancora ebbra dell'ultima impepata di cozze della stagione, un cappellino urlante ischiaischiaischiaischia, in perfetto pendent col sandaletto marrone, che nasconde l'occhio vispo e attento del venditore di ghiaccioli al polo nord.

il signor B si muove altèro tra gli sguardi sbigottito-incazzato-furioso-assassino-chitemmuortanti dei passeggeri, come se nulla fosse e nulla fosse accaduto. Pensavo che il mio volo fosse il 7474, ero in sala d'attesa, non ho sentito le chiamate, ho un gomito che mi fa contatto col piede, mio padre è rimasto chiuso nell'autolavaggio. qualcuno gli fa notare che anche un cerebroleso, 45 minuti dopo l'orario di partenza dell'aereo, si sarebbe chiesto come mai il volo 7474 ancora non veniva annunciato. forse perché il tuo volo non è il 7474? misteri del cervello del signor B.

per fortuna, l'aereo parte, ma - evento più unico che raro - inchioda mentre si porta sulla pista di decollo. forse una volpe, o una molfetta che gli ha attraversato la strada, chissà. poi lo vedo fare inversione ad U, ma penso che sia solo la mia fantasia malata. addirittura mi sembra di rivedere il gate, ma penso ad una allucinazione da panna cotta e limoncello.

finché il comandante ci dice, con garbo e simpatia, che è dovuto tornare indietro perché aveva dimenticato il gas aperto, che sua moglie non gli aveva dato il bacio della buona sorte, che la hostess si era rotta un tacco e che - particolare irrilevante - avevano dimenticato uno sportellino aperto, da qualche parte, sulla fusoliera dell'aereo. son cose, signora mia, son cose. sa come succede, uno cerca di recuperare un bagaglio per buttarlo a mare, e capita che si dimentica di chiudere la porta. tutta colpa degli zingari, dell'aumento del petrolio e di questo passo chissà dove andremo a finire.

ma tutto è bene quel che finisce bene, soprattutto quel che finisce.
l'avioplano è partito senza altri rallentamenti, con giusto un'ora di ritardo.

ma lo ammetto, oltre al signor B è stata anche colpa mia: mai mai mai acquistare un volo alitalia con scalo a milano e non controllare che l'aeroporto di arrivo è linate e quello di partenza è malpensa.

venerdì 8 agosto 2008

saluti e saluti

io, quello che dovevo fare, l'ho fatto.
signori e signori, arrivederci, ci vediamo tra qualche settimana.
o forse non ci vediamo più, ninzò.

nel frattanto, statemi bene, fate anche voi quello che dovete fare, e se proprio non lo volete fare, non fatelo.

cià

mercoledì 6 agosto 2008

Metropolis Pt. 2 - Scenes from a memory

continua da ieri

capitolo II - il cambio.

cadòrna, fermata cadòrna.
l'attesa per la metro verde, verde speranza, verde come il colore verde che ormai la mia faccia ha assunto da almeno un quarto d'ora. verde come l'odore verde del muschio, del prato, dell'erba appena tagliata nel parco di casa mia, a caserta, nelle giornate di sole quando non andavo a scuola.
s. ambrogio. non resisto. lo sento, sto per esplodere. non mi controllo, non lo controllo. inizio a recitare i salmi, il signore è paziente e pietoso, non si può misurar la sua grandezza. s. agostino. luci e ombre, la vista si appanna, ero seduto, ero in piedi, ero sudato, sudo. non lo so più, non sono più io, sono uno spettro che guarda me stesso da fuori, non sento doore. mi mordo le guance. su pascoli erbosi mi fa riposare.
porta genova. è la fine, io fino a romolo non ci arrivo. scendo ho bisogno di aria, lo vedo è un autobus: sta passando, è lui, è il mio. lo prendo al volo. mi muovo come un pinguino, soffro, chi ci è passato lo sa, chi ci crede, forse lo immagina.
dio del colon, di tutte le cose visibili e invisibili, abbi pietà di me. salgo.

capitolo III - la resa
vicino alle porte, troppe fermate mi aspettano, non ce la farò mai, le forze mi abbandonano, ci rpovo a farmi coraggio, ma ormai non serve.
la madre cicciona con la faccia di kathy bates mi guarda e avvicina il suo piccolo, lo stringe intimorita neanche avesse visto un maniaco.
il maligno mi tenta, la voce sulla spalla mi ripete Lasciati andare, cosa vuoi che sia? chi vuoi che ti riconosca? abbandònati, scavalla e lascia fluire, ti sentirai meglio. tremo, sudo freddo, forse rantolo. gli occhi si rivoltano verso l'alto, ma l'angelo buono cerca di farmi ragionare. Cosa farai dopo? come arriverai a casa? lo sai che poi dovrai solo dare fuoco ai vestiti? ma i crampi offuscano la sua voce e il mio cervello. l'autobus è fermo, voglio abbandonarmi: scendo, solo una fermata, aria pungente della sera d'inverno. ti prego resisti ancora un minuto resisti ti prego non farlo non farlo ti prego ti prego non farlo resisti vorrei quasi tapparmi con le mani, impedire il disastro, ti prego puoi farcela come ci torni a casa ti prego ad acque tranquille mi conduce è un passo è un ristorante lo vedo è a un passo non temerai alcun male è chiuso poi dice che uno non crede lo vedo è un'altro saran cento metri posso ancora farcela. cammino, striscio, arranco, mi aggrappo, le strisce, il semaforo, le fitte, i crampi, dolore immane, la porta, calore, persone, nessun cliente: che posso usare il bagno? prego faccia pure, in fondo alle scale.

epilogo
- papà, cosa vuol dire tutto questo?
- vedi figliolo - disse norberto sistemando il suo pargolo sulle ginocchia - quando sarai grande, e lavorerai per una grande società in una grande città, e sarai lontano da casa, un giorno potresti aver voglia di ordinare del sushi take away, in un ristorante che non conosci.
ecco, ricordati di michele, e non lo fare.

martedì 5 agosto 2008

Metropolis Pt. 1 - The miracle and the sleeper

prologo: milano, gennaio 2007.

una città fredda e grigia può presentare insidie e tranelli a chi - come me, ingenuo ed inesperto, terrone nell'animo e nel corpo - si affaccia alle sue porte col candore della gioventù e l'entusiasmo della scoperta.

fredda, milano, ma non più del solito e la giornata in ufficio era passata grigia e sfocata come tante. lavoro di routine, problemi di routine, soluzioni di routine.

ero lì già da qualche mese, all'epoca vivevo nei pressi di romolo, in un residence gestito da rocchettaripancabbestia maniaci dell'ordine e della precisione, ma con un'idea grossolana di privacy. tuttavia, il posto era pulito e - soprattutto - rimborsato, il che lo rendeva pregevolissimo agli occhi miei e del mio conto corrente.
ma lavoravo da tuttal'altra parte, a via mecenate.

a guardarlo sulle mappe non è poi così lontano, saran stati sì e no dieci chilometri, ma coi mezzi era particolarmente scomodo da raggiungere, e questo senza contare l'handicap di quella sera.

era ancora il periodo natalizio, e per le strade le luci e gli addobbi riscaldavano un poco quelle serate solitarie e un po' tristi; ma il passante ferroviario è un buco nero che ingoia tutta la luce e l'atmosfera, e il tempo e lo spazio si perdono nelle voci metalliche e nelle lampade al neon, lasciando solo la cognizione di se stessi, poveri in balìa di poveri pendolari.
qualcuno una volta mi ha detto che il passante ferroviario è stato fatto coi treni di un'altra tratta, e li prendeva tutti i giorni s'è visto appiedato da un giorno all'altro.

quella sera ero sul dieci, che fermava a porta venezia. da lì metro rossa e poi metro verde, prima di un ultimo tratto a piedi. lo facevo tutte le sere, lo conoscevo bene. a porta venezia i miei colleghi mi chiedono se va tutto bene.

ero pallido, sudavo freddo e non sapevo cosa rispondere. li lascio andare: tanto non avrebbero potuto fare niente.

capitolo I - l'attesa
rossa come il sangue, rossa come la rabbia rossa del toro, come la passione, come il fuoco che m'arde dentro: rossa la metro rossa che non arriva. mi muovo da una panchina all'altra, cerco di respirare ma l'odore di elettricità statica, di pensiline e di ferro di rotaia sfregante su ferro di binari mi nausea. posso ancora gestirmi, lo so, ce la posso fare. ho vissuto situazioni peggiori, al liceo era una cosa quotidiana, posso resistere. sono ancora a livelli accettabili.
arriva, piena come un uovo, e si muove al rallentatore, con le fermate che sembrano dilatarsi nel tempo come nei film, come quando sai che sta per succedere qualcosa di grave.

palestro. mi muovo, cerco di leggere, cerco di distrarmi, il dolore cresce, monta dallo stomaco e mi toglie il respiro. faccio finta di non pensarci. s. babila. mi alzo, cammino, mi siedo la gente comincia a guardarmi strano. un po' mi agito. duomo. passa. è passato? ancora un momento di pace, niente guerre intestine. cordusio e cairoli m'illudono. mentono sapendo di mentire, mi dicono che il dolore è passato, che le fitte si sono fermate e che posso arrivare a casa sano e salvo. puttane. non bisogna mai fidarsi delle fermate della metro. mai. mentono e ridono di te, soprattuto se credi di avercela fatta.
cadòrna, fermata cadòrna.

continua domani...