mercoledì 25 novembre 2009

sui delicati equilibri interpersonali e le loro sottigliezze semantiche

la fidanzata del mio amico ha i baffi.
ecco, adesso non vorrei che subito si saltasse a conclusioni affrettate. a facili giudizi o facili umorismi. neanche vorrei che mi si prendesse per un retrogrado, sessista o chessò io. d'altra parte girare intorno all'argomento, come si dice, fare giri di parole per esprimere un concetto semplice (mi è venuto in mente dopo aver letto un simpatico articolo, ieri, sull'antitaliano), dicevo, girare intorno all'argomento, magari parafrasando o perifrasando, non mi ricordo mai quale delle due, forse tutte e due, comunque, com'è, come non è, io ormai l'ho detto e non lo posso più ritirare, al massimo posso spiegare, argomentare, far meglio comprendere quello che ho detto dicendo quello che ho detto, e cioè che la fidanzata del mio amico ha i baffi.
è vero, bisognerebbe prestare attenzione a quello che si dice, misurare le parole, ho conosciuto gente che si offendeva per un nonnulla, per una sciuocchezzuola; si sa, c'è gente permalosa in giro, ma forse la sto tirando troppo per le lunghe, non vorrei essere noioso e prolisso, anche perché poi sto uscendo fuori argomento. la frase che ho detto prima, ecco, sì, che la fidanzata del mio amico ha i baffi: merita una spiegazione, e adesso basta tergiversare, lasciate che affronti la questione di petto e mi prenda le mie responsabilità, perché ho detto quello che ho detto e adesso devo sistemare le cose, perché non si posson dire certe cose, certe frasi come "la fidanzata del mio amico ha i baffi" e lasciarle così, sospese nel vuoto senza neanche una piccola correzione, una sciacquata di tali panni nell'arno della comune coscienza e del condiviso senso del pudore. non avrei mai dovuto dire che la fidanzata del mio amico ha i baffi, perché certamente tutti... no, non tutti, voglio sperare, ma molti, dài, molti sì, sicuramente, avranno attribuito a quella parola chissà quale valore, chissà quale significato, quando in realtà io, ingenuamente, ammettiamolo pure, ingenuamente, ho asserito con puerile innocenza che la fidanzata del mio amico ha i baffi.
inutile adesso cercare di trovare un'esplicazione semiotica, un'esegesi didascalica, financo una giustificazione morale adducendo scuse come l'irresponsabilità del flusso di coscienza o la foga dell'estasi narrativa. ho commesso un errore dicendo che la fidanzata del mio amico ha i baffi, perché, come diceva qualcuno, le parole sono importanti, bisogna sapere di cosa si parla e io ho dato per scontato che tutti la pensassero come me. quindi ecco le mie scuse e la mia correzione, perché dicendo che la fidanzata del mio amico ha i baffi ho commesso un veniale? mortale? peccato, ho peccato di superficialità: non posso e non dirò che la fidanzata del mio amico ha i baffi, perché non credo che si sposeranno.

venerdì 20 novembre 2009

elementale watson





lunedì 16 novembre 2009

una storia che la volevo scrivere in francese, invece poi no.

l'uomo senza cappotto aspettava alla stazione centrale, sotto l'orologio senza lancette. aspettava e osservava. guardava la gente passare, chi scendeva le scale per prendere il tram, chi correva per non perdere il treno.
guardava i senzatetto della stazione centrale, seduti sulle panchine o sdraiati in un angolo.
ogni tanto ascoltava, l'uomo senza cappotto, ma non prestava attenzione, preferiva gli odori.
hotdog, cipolle, grasso, sudore, persone, pioggia, acciaio e legno, freni, inverno.
odori famosi, diceva, li riconosceva ogni volta, e anche senza spostarsi dall'orologio senza lancette, sapeva perfettamente da dove venissero.
gli piaceva che gli si incollassero addosso e se li portava a casa come un ricordo, quando tornava a casa dopo una lunga giornata, dopo avere atteso a lungo. in fondo, diceva, non aspettava mai a lungo, anzi. non aspettava affatto, diceva, perché anche senza cappotto, diceva, puoi restare tutto il tempo che vuoi sotto un orologio senza lancette, perché tanto lì sotto, diceva, lì sotto il tempo non passa.

venerdì 6 novembre 2009

esse di esperimento

il mondo finisce alle sette meno un quarto. ci si potrebbe organizzare meglio, si potrebbe andar tutti quanti allo zoo comunale, ma chiude prima, poi in inverno fa buio presto, e Gervaso ci ha i reumatismi.
ho sempre pensato che Gervaso fosse un brutto nome, ma da quando ho scoperto che suo nonno ha partecipato alla resistenza nel '45 mi son sentito in colpa. non è che adesso mi metto a cambiare idea solo perché il nonno ha fatto la guerra, pure mio nonno avrebbe fatto la guerra se fosse stato ancora vivo. ma, mi dicono dalla regia che era ancora vivo. nonno, e che facevi, tu, durante la guerra? non rispondi, eh? ah, sei morto. scusa, non volevo. magari ripasso. nonno, non ti ho mai conosciuto, ma mi sarebbe piaciuto assai. pensa che abbiamo un sacco di cose in comune, padre e figlio a parte, chiaro.
so che lavoravi il legno, che dico, eri ebanista, oggi artigiani come te non esistono neanche più. so che ballavi il tango, che era uno spettacolo stare lì a guardarti ballare con la nonna. queste son cose che piacerebbe fare anche a me, ma il massimo d'intaglio che ho fatto è stato una zeppa da mettere sotto al tavolo che ballava, e di sicuro quel tavolo ballava il tango meglio di me, che ci ho provato due volte e ho rimediato una psicopatica che ci ha provato nonostante marito e figlio.
nonno, io non so come sono arrivato a questo punto, visto che dovevo parlare della fine del mondo delle sette meno un quarto, ma dal momento che ho perso il filo del discorso, direi di chiuderla qui, magari ci sentiamo un'altra volta, così ti racconto di mia figlia. e, già che ci sono, rimando anche la fine del mondo, va.

lunedì 2 novembre 2009

me parlare donna un giorno (cit)

i miei amici lo sanno, e mi prendono in giro.
sanno che non ho la sindrome di godzilla, nota ancche come sindrome del braccino corto,certo, ma sanno anche che quando devo spendere due lire in più io ci penso. se poi le devo spendere per forza allora cerco, analizzo, indago, m'informo, valuto, pondero, rimugino, ritorno, avanzo, esamino, mi prendo(no) per culo.
prendi il passeggino, per esempio. tu lo sai quanto costa un passeggino? no, dico, ma ci rendiamo conto? una roba che paghi l'abbonamento alla metro per mezzo lustro, per dire. pensa che il passeggino costa talmente tanto che ho dovuto cambiare macchina: non potevo metterlo in un bagagliaio che - quattroruote alla mano - vale di meno.
eh, ma io prima di acquistarlo ho valutato. ho ponderato, io, mica sono uno sprovveduto.
partendo dalle ruote.
tre o quattro?
tre è più agile, idoneo su tutti i tipi di terreno, ma più ingombrante. quattro ti trovi malissimo sui sampietrini.
ruote piene o gonfiabili? beh, se ci vai al bosco allora piene, senza dubbio, ché se si bucano ti ci voglio vedere io a gonfiare, metti la pezza, togli la pezza, gratta, sgratta, colla a caldo, colla a freddo, no, no, non fa per me.
struttura? alluminio, per carità, io di quelle plasticacce made in china non mi fido.
navicella porta enfant? meglio di quelle che vanno in macchina o no? e l'imbottitura sarà abbastanza imbottente? e lavabile? e atossica? e acritica? e traspirante che faccia passare l'aria d'estate ma che non faccia stare la bambina al freddo d'inverno?
e il seggiolino auto, avrà l'airbag? barre laterali? side impact protection system?
e quando si piega e si smonta ci sta tutto nel bagagliaio?
ed è facile da riaprire, poi?

insomma, dopo mesi e mesi di ricerche, giri per negozi, test, collaudi, aperture e chiusure di migliari e migliari di sistemi-di-trasporto-per-cuccioli-umani™, iersera abbiamo ridotto la rosa a quattro candidati.

«amore, alla luce delle precedenti analisi, viste le nostre esigenze e le nostre finanze, e individuati i punti di forza e di debolezza di ciascun modello, sì, insomma, dopo tutto questo ragionare e valutare, ti sei fatta un'idea? secondo te quale dovremmo prendere?»
«io prenderei il modello numero quattro.»
«ah sì? e perché?»
«perché è rosa.»