se ci pensi, rischi di trovarti in situazioni assai strane.
dieci persone, attorno a un tavolo, nazionalità diverse.
albanesi, indiani, russi, belgi e soprattutto italiani.
e ti metti nei panni di quell'unico belga, che civilmente pensa che l'immigrazione sia una risorsa.
che civilmente pensa che le persone che emigrano portino qualcosa, non che lo tolgano.
e dall'altra parte tu pensi allo scambio culturale, a tutto quello che si può imparare da uno straniero.
pensi alla cucina, alle battute, pensi a quello che i belgi pensano quando sono seduti intorno allo stesso tavolo.
poi però guardi: un'ombra passa nei suoi occhi.
e pensi che forse forse adesso stia pensando che quelli della lega, in fondo, non abbiano tutti i torti.
perché sì, l'integrazione, sì il conoscersi, l'apprendere, il frequentarsi.
e d'accordo pure che gli albanesi guardano raiuno dalla mattina alla sera, passi anche che quel cazzo di russo è stato tanti anni in italia, e siamo d'accordo pure sul rispetto delle minoranze.
però, penso che a un belga a casa sua, nel suo ufficio, nella sua mensa, che si siede con una decina di persone e sente parlare solo italiano, dopo un po' le palle pure gli girano.
lunedì 3 novembre 2008
non siamo noi a essere razzisti
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Pubblicato da michele alle 14:48
roba che parla di: belgio, lingue straniere, vita d'ufficio
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